Ponte Nina

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MARCO FULVI E IL SACRO

In Marco Fulvi impera il ‘300. Imperano i Santi, oserei dire, ritagliati, su fondo oro dove il corpo è divenuto simbolo dello spirito. Niente di più vicino a Dio.

Ora in Marco, questi che lui chiama scarti, reperti di Ponte Nina, abbandonati dall’essere umano ma anche respinte dal mare appaiono santificati in un assoluto, privo quindi di dimensioni temporali/spaziali.

Infatti “i resti” puri e sognanti che non appartengono più alla terra ci spaesano e ci ignorano facendo ormai parte del Sacro.

Il fondale oro manca ma l’effetto è lo stesso.

Marco è pittore nel senso classico del termine, usa il pennello e il colore unicamente come “luce” e basta.

Il che significa che tutto ciò che è materia, in lui perde spessore e consistenza.

Dimentichiamo gli anni ’60/68 dove la materia stessa veniva incollata sulla tela per poi passare alle installazione e alla esposizione del corpo come oggetto d’arte.

Qui non esiste nulla di tutto questo. La materia ridiventa pittura con una forte tensione dentro pronta ad annullare le leggi della prospettiva, anzi a sostituirvisi.

Marco ha iniziato a picconare le sue case coloniche, non abitate ma forse abitabili, riducendole a ruderi. Poi a semplici facciate colanti in un cielo con qualche nuvola che ne testimoniasse il passaggio. È passato poi al mattone o alla tegola ma quando questi elementi avevano perso la loro perfetta geometria atta alla costruzione e diventati altro e altro ancora all nostro sguardo.

Ecco allora i sassi, non più sassi ma piccoli monti, ecco i disparati singoli elementi accostati tra loro: le Regine o ritratti di regine, anzi icone. Ma anche i Bianchi sono icone. 

Il cammino è quello della disgregazione, quello che l’arte contemporanea rappresenta con angoscia, poiché l’arte contemporanea, in genere, non ci pacifica con il mondo. 

Qui invece la disgregazione stessa (quel che resta) è elemento felice, è elemento di gioco, perché la mente è giocosa e si volge a un Paradiso NON perduto. 

Quale potrebbe essere ora il nuovo passaggio? Lavorare ancora sulla disgregazione… raggiungere l’atomo, accostarsi all’origine della vita? Al Sacro appunto.

E il sociale? Uno si chiede, dove è finita la contestazione sociale dell’arte? Ma è tutta qui: negli scarti ma anche nella pioggia di omini tutti uguali o nella pioggia degli 1 se è questo che ci suggeriscono.

Marco nell’evoluzione della sua pittura mi ricorda “I RITI DI PASSAGGIO” dove tutto nasce, cresce e muta. Fasi ritualizzate da aspersioni che portano alla purificazione, i Battesimi della vita.

Picasso ha detto “la pittura per il pittore equivale al diario per lo scrittore”. Allora non ci resta che sfogliare questo diario di Marco.

arch. Ivana Manni